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Da Bagno a Passo di Serra per la Via dei Romei e ritorno dal Fosso di Becca

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IL SENTIERO GUALCHIERE – PASSO DI SERRA O DEL GRANDUCA

LA VIA DEI ROMEI

"Io non sono un alpinista, e tanto meno uno scalatore di rocce; sono un camminatore, un viandante, un randagio. Ho nel mio sacco quello che basta. E non ho fretta. Se sono stanco, se è bello il luogo, e c’è acqua vicina; se l’ora è serena e caldo il sole, mi fermo dietro un sasso che mi ripari dal vento, mi spoglio mi asciugo mi lavo mi cambio; bevo té caldo o un sorso di grappa; riguardo la mia pipa che non abbia intoppi e sia netta, la carico e l’accendo; e mi sdraio al sole ...."
Manara Valgimigli, La strada, la bisaccia e la pipa (1932)

Da Bagno di Romagna si percorre la vecchia statale in direzione sud per circa 1 km, fino al bivio per il passo dei Mandrioli, ove si prende a sinistra in direzione di Verghereto. Poco dopo, sulla destra, all’altezza di un ponte sul fosso delle Gualchiere, che confluisce subito dopo nel fiume Savio, si trova un piazzale da dove inizia il percorso. Una freccia indicatrice prima, e poco dopo sulla sinistra un basamento in legno con profilo altimetrico, stanno ad indicare la direzione del percorso (CAI 181-177). Presso la confluenza del fosso delle Gualchiere con il Savio sorgono i ruderi dell’antico Romitorio.

Romitorio (slm 520)
"Il toponimo e la posizione indicano un luogo di raccoglimento lungo il percorso fra Romagna e Toscana. Il complesso della chiesa e degli edifici adiacenti, in rovina, sorge lungo l’antica mulattiera di Nasseto, dove questa attraversava il fiume Savio su un ponte di cui restano solo alcune parti." Le rovine si trovano proprio sotto la superstrada E 45 ove questa supera il Savio, di fronte all’imbocco dello stradello per le Gualchiere.
Gli insediamenti rurali nelle vallate del Savio, Rubicone, Uso - Amministrazione Provinciale di Forlì, 1976

Dopo un centinaio di metri si raggiungono le prime case del nucleo delle Gualchiere, percorrendo lo stradello delimitato da un muro a secco su cui poggia un campo.

Gualchiere (slm 515)
"Il nucleo è situato lungo la mulattiera di Nasseto, come indica un cippo in prossimità della strada statale. La mulattiera appare in gran parte selciata, specie nel tratto più vicino alle abitazioni. Gli edifici, di interesse tipologico, sembrano appartenere al XVII sec. Interessante il portale con maniglie in ferro battuto riccamente decorate, sormontato da un architrave recante lo stemma della famiglia Balasssini [leone rampante con balasso], proprietaria del luogo."
Gli insediamenti rurali nelle vallate del Savio, Rubicone, Uso - Amministrazione Provinciale di Forlì, 1976

Il toponimo Gualchiere deriva dal verbo gualcire, un altro sinonimo è "follare" cioè "premere fortemente i panni affinchè acquistino consistenza" Quindi in questi luoghi sorgevano uno o più edifici che contenevano dei magli, robusti e pesanti, fatti di legno ben stagionato. Funzionavano ad acqua e servivano per "gualcare" (pigiare, comprimere) i tessuti di lana, che poi si trasformavano in "panni". L’acqua prelevata dal torrente percorreva un canale chiamato "gora", batteva sulle pale di una grande ruota che, a sua volta, metteva in movimento i pesanti "magli" che calando ritmicamente sul tessuto lo rendevano resistente e compatto. Le Gualchiere dovevano sorgere per forza lungo corsi d’acqua perché c’era bisogno dell’acqua per fare funzionare le macchine. Il mulino e la gualchiera di Bagno di Romagna, mossi dalle acque del fosso, sono documentati almeno dal 1545 quando la famiglia Balassini li ottenne in fitto perpetuo. Da allora ne sarà sempre proprietaria e, grazie alla sua intraprendenza, lo sviluppo di questo piccolissimo polo produttivo proseguirà nei secoli: infatti oltre a mugnai e gualcherani, i Balassini saranno fornaciai, tintori, conciatori, impianteranno una segheria ad acqua, tesseranno lane e stoffe. Sulla casa è posto lo stemma della famiglia - un leone rampante con un balasso o pietra preziosa - simile a quello dei Conti Guidi di cui un Balassino era figlio bastardo.
A 400 metri dalla partenza si arriva a livello del letto del fosso (520 slm), che durante i periodi di secca è possibile guadare. In alternativa, quando l’acqua è alta, prima del guado (cui ne seguono altri), la mulattiera continua sulla destra di un traliccio in metallo e oltrepassa un piccolo fosso; di qui inizia la salita, su di un galistrato, quindi poco dopo, in piano, si entra in un boschetto di carpini e cerri, dove il tragitto si riduce a un piccolo sentiero. Subito dopo in discesa si ritorna a livello del torrente, presso una sorgente.
Mantenendo la destra, dopo pochi metri il sentiero si trasforma in una bella mulattiera ancora perfettamente selciata, alla fine della quale si arriva al ponte a schiena d'asino sul fosso di Faeta o del Capanno in confluenza col fosso del Chiuso. Di fianco è posta una tabella delimitante un’area wilderness, su cui sono riportati i modi di comportamento da tenere all'interno della medesima. Subito dopo, alla destra del sentiero, a 900 m dalla partenza, sorge la rustica Cappella Balassini o Maestà Balassini, edificata in blocchi di arenaria.

Maestà Balassini (slm 530)
E’ posta subito a monte del ponte sul Fosso del Capanno, lungo la mulattiera che da Bagno, per le Gualchiere, porta a Passo Serra. Detta anche "Maestà di Lorenzo Birbone", è documentata almeno dalla fine del seicento. Di forma inusuale per la zona, la cella serviva anche come rifugio in caso di maltempo per chi si avventurava verso il Passo Serra. E' stata recuperata nel 1994 dalla famiglia Balassini delle Gualchiere; in quell’occasione è stata collocata all'interno un formella in arenaria scolpita, la "Madonna del Galestro", opera di Silvano Fabiani (1991).
Si percorre subito dopo un pezzo in salita, dove a tratti è ancora visibile la selciatura; di seguito, in un tratto pianeggiante, sulla sinistra, vi è la deviazione (535 slm a 1 km dalla partenza) per il Chiuso (CAI 181). Si ricomincia a salire ed è possibile notare i resti della vecchia selciatura che si ritroverà quasi integra più avanti. Ai bordi della mulattiera radi boschetti con cerro, roverella, carpino nero e qualche esemplare di carpino bianco, accolgono dalla stagione primaverile all'autunno vari tipi di fiori: una piccola stazione di aquilegia, mughetti, ellebori, alcuni tipi di orchidee e i più comuni come primule, epatiche, viole e la poco appariscente ma caratteristica poligala bossonano; nelle zone galistrate più povere si trova l’orniello. Si continua a salire a tratti all'interno di boschetti, ma soprattutto attraverso galistrati o su costoni a volte lastronati e man mano che si procede verso alto il panorama comincia a prendere forma: sulla sinistra si staglia il Chiuso, con ampi ex coltivi e rimboschimenti e in lontananza lo sprone di Castel dell’Alpe mentre nella direzione dell’ascesa è imponente la catena dei Mandrioli. Sulla destra ci sono i tornanti della Provinciale 14" che sale al Passo dei Mandrioli, intagliati negli "Scalacci" o "Scalacce", cioè in una parete che è un esempio eclatante delle grandiose stratificazioni di marna e arenaria che caratterizzano la geologia di questa zona. Continuando a salire si transita sotto Poggio Alto (slm 905), poi dopo un intenso strappo in salita ci si addentra in un boschetto in piano e superato un filo spinato tra rovi, biancospini e rose selvatiche, si arriva ai ruderi di Nasseto a 2,7 km dalla partenza, posto proprio all'inizio dell’ampia prateria sommitale che si estende tutt’intorno e che accoglie il bestiame all’alpeggio.

Nasseto (slm 899)
Fin dal Cinquecento sulla mulattiera per l’Alpe di Serra è documentato il podere di Nasseto che, abbandonato soltanto negli anni sessanta, è già un rudere; il grande prato che ne costituiva la ricchezza poichè vi si teneva "alla fida" il bestiame di altri poderi e, nonostante l'altitudine, lo si seminava con buona resa, ora sta evolvendo dolcemente in bosco ed è già colonizzato da ginepri, rovi, rose selvatiche e cardi nonostante in estate vi siano ancora mandrie in alpeggio. A ponente dei ruderi, su un dosso, è posto un basamento in legno con il profilo delle cime della giogana: dal trapezoidale monte Zuccherodante, al passo dei Mandrioli, a Cima Termine. Dal basamento in legno, continuando in discesa attraverso i campi lungo un bianco sentiero semigalistrato, si può arrivare ad una sorgente incassata tra le motte con vasche per l'abbeveraggio del bestiame.
Sicuramente il pellegrino medievale che, diretto a Roma, percorreva la "Strada dell’Alpe di Serra", si stupiva nel trovarsi improvvisamente davanti al pratone ondulato di Nasseto: oasi verdissima sulla mezza costa di un versante desolato come il caotico ed arido territorio circostante, detto anticamente "Biancheria di Romagna" perchè reso spettrale dagli strati della marnoso-arenacea. Il viaggiatore odierno, nel giungere alla piana, si stupisce un po’ meno poichè la mulattiera ora attraversa un territorio che in certi tratti è addirittura rigoglioso, come la lussureggiante "Area Wilderness del Fosso del Capanno" che ha appena sfiorato, o la densa foresta che ricopre monte Zuccherodante, che occorrerà risalire per giungere a Passo Serra.
Da Nasseto si prosegue attraverso un bellisssimo viale alberato, un po’ sconnesso per i ciottoli e le peste del bestiame, tra cerri, carpini e aceri campestri avvolti da edere; un poco più avanti si ritorna allo scoperto e si incontra, a 300 m da Nasseto e 905 slm, la deviazione per Castel dell’Alpe (CAI 181).

CASTEL DELL’ALPE o DELL’ALPI
"… l’altro presso alla cima del Bastione del Trivio alle sorgenti del Savio. Quest’ultimo castello da lungo tempo ridotto a castellare, siccome ora si appella, è situato sul confine meridionale della Comunità di Bagno. Esso è rammentato nella storia, specialmente allora che i Fiorentini lo tolsero ai conti Guidi di Bagno (anno 1404), e poi lo cederono con tutto il distretto di Bagno (nel 1406) a Giovanni Gambacorti …"
Emanuele Repetti, Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana Vol. I - Firenze 1833.

La mulattiera prosegue in un paesaggio a cui sagome curiose d’arenaria e vallecole aride danno un tono lunare e di fiaba. I geologi chiamano queste formazioni "slamp" e sono il risultato di antiche frane sottomarine che hanno sconvolto il monotono e regolare alternarsi della sedimentazione della marnoso-arenacea, creando gobbe sinuose e frastagliate. Qui si attraversano tratti incassati nella roccia, è necessario porre particolare attenzione in quei tratti dove il dilavamento delle acque ha reso difficoltoso il passaggio. Dopo una sella ancora allo scoperto si giunge ai piedi di monte Zuccherodante, qui si entra nel bosco che già sta mutando il suo aspetto, con la presenza di faggi, che aumentano man mano che ci si alza di quota. Di qui in avanti il sentiero sale continuamente, a tratti si riesce a intravvedere la bella mulattiera selciata. Dopo alcuni faticosi tornanti si raggiunge Passo Serra (1150 slm) a 4,9 km dalla partenza. Qui un cippo ricorda l’antica Via dei Romei con l’iscrizione che segue:
VAL DI BAGNO TREK
Qui Tra Romagna e Toscana l’antica Via dei Romei che fin dal Medio Evo univa il Nord Europa a Roma, varca ancora l’Alpe di Serra
COMUNE DI BAGNO DI ROMAGNA 1998

Sostanzialmente, escluse alcune integrazioni e/o aggiustamenti, la descrizione del tragitto Gualchiere – Passo Serra è dell’amico

Ricci Pierluigi
il girovago
guida autorizzata Parco Foreste Casentinesi
Via Fiorentina 30 Bagno di Romagna
www.ilgirovagotrek.it

 

I VIAGGIATORI MEDIEVALI E LA VIA DEI ROMEI
Gli storici hanno ormai rinunciato al tentativo di individuare un unico itinerario battuto dai viaggiatori medievali. I documenti ci mostrano infatti come il mutamento dei corsi d'acqua, le trasformazioni politiche, la creazione o l’abbandono di insediamenti e luoghi di culto modificassero nel tempo i percorsi rispetto all'età romana. Per raggiungere le stesse località, i viaggiatori inoltre erano soliti avvalersi di un fascio di tragitti alternativi che sovente percorrevano fra tante avventure di viaggio. Oggi gli studiosi preferiscono quindi parlare di "aree di strada" o di "fasci di strade". Per chi arrivava dal Brennero o da Venezia, non pochi erano i tratti attraverso la Romagna da percorrere via terra e via acqua, a piedi o con mezzi di trasporto diversi. Nel primo Medioevo alcune delle strade romane infatti erano cadute in disuso, sicché le vie d’acqua interne divennero le alternative più importanti. Ferrara, Argenta, Ravenna costituirono i porti fondamentali del tragitto, peraltro già conosciuto ai romani. L’asse itinerario di base del percorso fu il Po di Primaro - che portava a canali e fiumi minori fino al mare - con le vastissime paludi che circondavano e fiancheggiavano il suo basso corso. Un’altra alternativa per compiere il tratto tra Venezia e Ravenna era la navigazione lungo la costa adriatica. Una volta raggiunta la via Emilia - ci fossero arrivati dalla dalla costa adriatica o piuttosto dal Po - i viaggiatori medievali dovevano per forza incamminarsi in lenta salita per valicare l'Appennino. L’ospitalità era garantita lungo i percorsi. Viaggiare era pericoloso e scomodo. Spesso i mercanti e i pellegrini preferivano accordarsi con altri che seguissero almeno una parte del percorso per aiutarsi reciprocamente e vincere così la noia e le insidie del lungo camminare. Gli atti criminali e le raccolte di novelle infatti sono pieni di storie, vere o immaginate, di misteriosi compagni di viaggio incontrati lungo la strada e rivelatisi poi complici di malfattori, ladri e assassini loro stessi o, peggio, inviati del demonio per portare alla perdizione il malcapitato che si era fidato di loro. Le strade erano dunque spesso i veicoli del mistero, dell’emarginazione sociale o dell’intervento soprannaturale malefico; del turbamento insomma dell'ordine positivo della società. Contro questa pericolosa smania di viaggiare, di allontanarsi dal mondo noto e rassicurante, si leveranno voci di ecclesiastici autorevoli, preoccupati della perdizione spirituale e materiale in cui poteva incorrere il pellegrino. Lungo le tratte dove gli acquitrini avevano cancellato le vie terrestri, il modo più importante di viaggiare divenne quello di spostarsi per acque interne su piccole barche adatte alla navigazione fluviale. Dove le strade romane invece si erano conservate, nelle zone più asciutte, collinari e montane, gli uomini del medioevo di solito si spostavano a piedi o su animali da soma. Le persone anziane e le nobildonne utilizzavano i carri trainati da buoi oppure le portantine. Soltanto nobili ed ecclesiastici viaggiavano a cavallo, un mezzo delicato e costoso, simbolo di elevato stato sociale. Anche i mercanti preferivano gli animali da soma, più maneggevoli e veloci dei carri e in grado di superare pendenze maggiori, sebbene non fossero in grado di trasportare grossi carichi. I viaggi di penitenza o di devozione dovevano però ricevere la benedizione di un sacerdote ed essere compiuti a piedi, quindi avendo con sé il minimo bagaglio possibile: il bastone per aiutarsi e difendersi, un recipiente per l’acqua e poco altro e una quantità di denaro che non invogliasse ladri e banditi. Lungo i percorsi l’ospitalità era garantita da istituti caritativi: gli "ospedali per pellegrini". Gli "hospitalia" potevano essere autonomi oppure annessi a monasteri, pievi, cattedrali. Di solito erano collocati a una giornata di viaggio l’uno dall'altro, e si trovavano sempre nei pressi di un punto particolarmente difficile e pericoloso. Agli Hospitalia era demandata anche la cura del relativo tratto di strada. Per gli indigenti, acqua e giaciglio erano gratuiti. Per i benestanti, si chiedeva un’elemosina o la promessa di un lascito testamentario. Con il crescere dei traffici commerciali, nel basso Medioevo, rinacquero o si rinvigorì l’ospitalità a pagamento. La nuova imprenditorialità degli osti e dei locandieri è lontana erede di quella romana. In alcune di queste osterie, ritenute nei primi secoli del Cristianesimo ricettacoli di ogni vizio e proibite agli ecclesiastici, si poteva solo mangiare e bere, mentre in altre grandi letti potevano ospitare diverse persone. Non va dimenticato infine che i ricchi e i potenti potevano richiedere ospitalità ai loro sottoposti, ma solo per tre giorni, alle aziende agrarie di loro proprietà oppure presso i parenti o presso i monasteri di famiglia.

LA "STRADA DELL’ALPE DI SERRA": UNA MEDIEVALE VIA ROMEA PEREGRINORUM
Tra gli itinerari romei che superavano l’Appennino a sud della Via Francigena, la "Via di Bagno" è già nota almeno dagli inizi del Duecento quando Geraldo del Galles, pellegrino dall’Inghilterra a Roma nell’inverno del 1204, ne da una breve ma significativa descrizione. Cinquant’anni più tardi questo percorso viene codificato ed indicato come il migliore per raggiungere Roma da Bologna da due importanti "guide" per i pellegrini che dal nord e dall’est europeo si dovevano recare alla capitale della cristianità: gli "Annales Stadenses auctore Alberto" di Albert von Stade e "Iter de Londinio in Terram Sanctam" di Mattew Paris.
Gli "Annales Stadenses auctore Alberto" è la più completa guida medievale per pellegrini che dal nord Europa intraprendevano il lungo viaggio per Roma o Gerusalemme; è scritta in forma di dialogo divertente fra due fittizi frati tedeschi di nome Tirri e Firri. I due frati discutono quali siano gli itinerari consigliabili al pellegrino nord europeo diretto a Roma e alla Terra Santa. Secondo Firri è consigliabile intraprendere il viaggio a metà agosto, dato che "l’aria è temperata, le strade sono asciutte, l’acqua è scarsa e le giornate sono lunghe e quindi adatte allo spostamento".
Il testo che ci è pervenuto è conservato ad Hannover in Germania e si ritiene sia stato compilato nel 1230 e 1256.
"Iter de Londinio in Terram Sanctam ", conservato nella British Library a Londra è una guida alle strade per Roma e Gerusalemme, dall’Inghilterra e dalla Francia e una carta turistica per viaggiatori, disegnata a colori su pergamena, da uno studioso anglo-normanno, Matthew Paris, nel 1253. Il rotolo di pergamena, artisticamente interessante, mostra la strada e tutte le varianti attraverso l'Europa e l’Italia sino agli imbarchi per la Terra Santa, con tutte le stazioni, illustrate da numerose didascalie informative.
Entrambe consigliavano, una volta giunti a Bologna, di proseguire sulla Via Emilia fino a Forlì, per poi imboccare una strada che dalla pianura romagnola giungeva alla dorsale appenninica e quindi ad Arezzo e Roma. L’indicazione dell’abate tedesco Alberto è precisa, anche nelle miglia tra ogni tappa: "Sed puto quod melior sit via ad balneum Sanctae Mariae sic: Bolonia. 13 Castellum santi Petri. 7 Emula. 10 Feance, 10 Furlin. " San Martinen strate. 4 Meldola. 10 Civitella. 15 Balneum sanctae Mariae. Alpes 15 leucarum. Champ. 8 Subean. 6 Aretium". Questa strada - una vera "via romea peregrinorum", organizzata da tempo con luoghi di sosta - a S. Martino in Strada prendeva dunque a risalire la valle del Bidente toccando Meldola e Civitella, per poi portarsi con un percorso di crinale sul Passo del Carnaio e quindi scendere a Bagno di Romagna, nella contigua valle del Savio. Dopo un’opportuna sosta a Balneum sanctae Mariae, i romei seguivano la "Strada dell’Alpe di Serra" che s’inerpicava sul versante a tramontano dell’Appennino (Alpes), lo varcava a Passo Serra per poi scendere nell’alto Casentino dove, toccando Campi e Subbiano, si dirigeva ad Arezzo. Un’esperienza che ancor oggi è possibile realizzare, seguendo la mulattiera selciata che da Bagno di Romagna sale a Passo Serra.
Tratto e integrato dal sito
http://www.bagnodiromagnaturismo.it

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