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L'Alpe di San Benedetto e la cascata dell'Acquacheta

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N.B.  Le notizie sotto riportate sono state reperite su alcuni libri e in vari siti Internet, e da noi liberamente assemblate.

San Benedetto in Alpe e l’Abbazia

Denominato in origine Biforco per la particolare ubicazione alla confluenza dei torrenti Acquacheta, Troncalosso e Rio Destro, i1 centro di San Benedetto in Alpe deve l'attuale toponimo alla dedicazione della chiesa abbaziale. L'esistenza di un nucleo di eremiti in questa località viene fatta risalire al IX secolo e comunque è attestata per gli anni a cavallo tra il X e l'XI secolo: nel 986, 1004 e 1021 vi si recò infatti S.Romualdo per correggere e riformare la vita religiosa di quegli eremiti. Con l'intervento del Santo il monastero assunse una diversa fisionomia eimportanza. Già nel 1022 l'imperatore Enrico II, che si trovava allora a Ravenna, emise un diploma col quale sottoponeva formalmente l'eremo di Biforco alla disciplina di San Romualdo e degli abati suoi successori, dotandolo contemporaneamente di beni di cui viene fornito un elenco completo. All'XI secolo risale l'erezione del Castrum Sancti Benedicti in Alpibus, a difesa di quell'insediamento. Nel corso dei secoli XI e XII l'Abbazia acquisì, tramite donazioni e, in misura più ridotta, acquisti, un vastissimo patrimonio fondiario che si estendeva al territorio faentino e a quello toscano; più precisamente l'Abbazia possedeva beni nelle valli del Rabbi, del Montone, del Tramazzo, dell'Acerreta, del Lamone, del Marzeno, a Forlimpopoli ed a Firenze. La fascia appenninica posta tra le valli del Montone e del Lamone prese allora il nome di "Alpe di San Benedetto". Da una bolla papale di Callisto II del 1124 risulta che erano dipendenti dall'Abbazia le pievi di San Martino in Alpe (Premilcuore), San Pietro in Octantula (Tontola) e San Cassiano in Pennino nella valle del Rabbi, oltre a numerose chiese tra le quali quelle di Pereta, Carpine, Castagneto, San Clemente, Montalto, San Savino. L'Abbazia raggiunse il suo massimo sviluppo nel corso del XIII secolo, quando anche i fabbricati che la componevano assunsero una notevole vastità: tutta l'area dell'attuale abitato di Poggio era infatti allora interamente occupata dalle celle dei monaci, le quali su due file formavano un borgo ai lati della strada che ancor oggi si diparte rettilinea dalla chiesa abbaziale. La vastità dell'architettura dovette impressionare anche Dante se, citando l'Abbazia di S. Benedetto in Alpe nel canto XVI dell'Inferno, ricorda che qui "dovea per mille esser ricetto". Dante, esule da Firenze, arrivò a San Benedetto percorrendo il sentiero dell’Acquacheta e rimase affascinato dalla cascata principale che poi citò nella sua cantica. Secondo alcuni biografi e studiosi di Dante il sommo poeta sostò tra il 1302 ed il 1303 a San Benedetto ospite dell’Abbazia e, proprio qui, nella pace della montagna, avrebbe composto buona parte della "Divina Commedia". Nel 1371 il cardinal Anglico censì il Castrum Sancti Benedicti in Alpibus per 80 focolari, alle dipendenze dell'abate; nel 1440 venne poi definitivamente sottomesso a Firenze. I secoli XIV e XV segnano la crisi dell'Abbazia, che vide progressivamente diminuire i suoi monaci, finché nel 1499 il Papa Alessandro VI vi soppresse l'ordine benedettino e l'anno seguente ne passò l'amministrazione all'Abbazia di Vallombrosa. Infine Papa Clemente VII nel 1526 la concesse per sempre al capitolo della basilica di San Lorenzo di Firenze. Ridotta a semplice parrocchia, i fabbricati abbaziali furono trascurati finché nel 1723 fu demolita l'antica chiesa a croce latina con abside semicircolare per edificare l'attuale più piccola ed ad una sola navata utilizzando l’originario muro perimetrale di destra e sacrificando metà del chiostro. Oltre alla cripta del transetto di destra restano altri elementi originari come l’arco d’ingresso risalente al IX secolo, la torre di difesa munita di feritoie balestriere, il chiostro-cortile con pozzo e panorama mozzafiato sull’Alpe di San Benedetto. L’Abbazia è collegata al fiume dalla medioevale via Dante Alighieri, una suggestiva scorciatoia pedonale che collega Poggio a Molino: lungo il corso dell’acqua erano infatti ubicati diversi mulini che dovevano provvedere alle esigenze alimentari del monastero.Restano altre antiche pertinenze come il Vignale (oggi ostello), Pecorile (in fondo a via Poggio) e Caprile dalle funzioni indicate chiaramente dai toponimi.

Cascate dell'Acquacheta

(Ad un'ora e mezzo di cammino da S. Benedetto. Sentiero al livello del fiume dal piazzale che precede il ponte sul torrente Acquacheta; segnavia 407)

Citate con questo nome da Dante nel XVI canto dell'Inferno sono da tempo un'escursione tra le più classiche dell'Appennino tosco-romagnolo e sono inserite nei parchi culturali italiani. Oltrechè Dante, le vide probabilmente anche S. Romualdo. Per giungere al grande salto dell'Acquacheta (70 metri di altezza dopo una corsa di 4,5 chilometri dal monte Làvane, da cui nasce, a 1241 metri sul livello del mare) basta seguire la mulattiera che da S. Benedetto risale costantemente la sinistra idrografica della valle e il cui percorso mostra, in alcuni tratti, l'originaria selciatura. Tra ontani e faggi si costeggia il rumoreggiante Acquacheta, poi ci si alza un poco, tra boscaglie di carpino e roverella interrotte da radure, le acque vi scorrono in mezzo sempre movimentate da pozze e cascatelle. Si oltrepassa la piccola Ca' del Rospo e il Vecchio Mulino. Da qui il paesaggio si fa più suggestivo: il torrente si incunea infatti tra le rocce e una prima cascata preannuncia il grande salto. Ed ecco che più avanti il torrente Acquacheta precipita da una balza stratificata a gradoni. Nella stagione piovosa si presenta come un muro d'acqua mugghiante, nella stagione secca invece si divide in tre fiotti.

Dante e la Cascata dell'Acquacheta

Come quel fiume c'ha proprio cammino

prima da monte Veso inver levante,

dalla sinistra costa d'Apennino,

che si chiama Acquacheta suso, avante

che si divalli giù nel basso letto,

e a Forlì di quel nome è vacante,

rimbomba là sovra San Benedetto

dell'Alpe, per cadere ad una scesa

dove dovria per mille esser recetto;

così giù d'una ripa discoscesa

trovammo risonar quell'acqua tinta,

sì che in poc'ora avria l'orecchia offesa.

    Dante, Inferno, canto XVI, 94-105

 

Dante si trova nell’ultimo girone del 7° cerchio dove il fiume Flegetonte precipita nell’8°. Con una bella similitudine paragona la rumorosa cascata del fiume infernale alla cascata dell’Acquacheta "Come quel fiume…". Il monte Veso non esiste. Il Poeta intende forse il Monviso (Mons Vesulus) da cui origina il Po, nel senso che il Montone era il primo fiume, nella "sinistra costa d’Appennino", dopo il Po, che si immettesse in mare per proprio corso. In epoca attuale il primo fiume a immettersi in mare per proprio corso è il Reno(*).

"… e di quel nome è vacante …", forse perché, da S Benedetto a Forlì il fiume, conosciuto come Acquacheta (un tempo flumen Usatici o Casaccia), si perdeva poi nel Montone rimanendo vacante del suo nome.

"… per mille esser ricetto …". Un’ipotesi: l’abbazia, in decadenza al tempo di Dante, non poteva contenere mille monaci. Dante, che fu ospite di Ruggeri Guidi da Dovadola, fa riferimento a un castello che si voleva edificare sopra la cascata.

Il Poeta vide la cascata dell’Acquacheta perché di là passava l’antica strada regia tosco-romagnola che tagliava il monte Lavane dove ha origine il ramo sinistro dell’Acquacheta. Di qui si diramavano le strade municipali della Gallia e dell’Etruria (Faenza – Modigliana – Lavane – Castel dell’Alpe – Arezzo).

L’attuale via Nazionale venne inaugurata nel 1836.

(*) Durante il papato di Benedetto XIV (il bolognese Cardinale Prospero Lambertini), il fiume Reno fu soggetto ad una modifica idraulica fondamentale: dopo essere stato un affluente del Po in epoca alto medievale, sia da solo, sia congiuntamente col Panaro, il susseguirsi delle disastrose piene cui andava periodicamente soggetto, ne causarono un disalveamento ed un impaludamento nelle campagne ferraresi. Venne allora disalveato nell'ultimo tratto: fu scavato un canale artificiale di circa 30 Km (Cavo Benedettino), in direzione del mare, che venne collegato con l'antico corso abbandonato del Po di Primaro, assumendo pertanto l'aspetto attuale, con andamento caratteristico prima da sud a nord, poi, dopo una improvvisa curva a gomito (nei pressi della località Sant'Agostino), da ovest a est, fino all'ultimo tratto con direzione nord ,dopo avere aggirato e sfiorato le Valli di Comacchio.

Pian dei Romiti

(Sullo sperone roccioso sopra la cascata dell'Acquacheta, a 720 m s.l.m.)

E' una prateria punteggiata da alberi e arbusti con il torrente Acquacheta che scorre placido in lenti meandri. Qui i ruderi dei Romiti sfidano il tempo. Si tratta di un agglomerato di case rurali abbandonate ormai da parecchi anni e risalenti al XVII secolo; non ci sono prove, a parte la toponomastica, che qui esistesse davvero l'eremo legato al monastero di San Benedetto.

S. Maria all’Eremo

Le prime notizie risalgono al 1021. Nel 1028 il vescovo di Fiesole Jacopo il Bavaro la concedeva ai monaci benedettini dell’abbazia di San Gaudenzio in Alpe. Nel 1482 la chiesa passò, insieme al monastero da cui dipendeva, all’ordine dei Servi di Maria della Santissima Annunziata di Firenze. La piccola comunità religiosa dei Servi di Maria fu soppressa nel 1652. L’edificio, recentemente restaurato, si presenta ancora nella sua struttura ottocentesca ad un’unica navata. Da qui proviene una campana, datata 1294, ancora conservata presso la chiesa di San Gaudenzio.

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